I ministri delle finanze dell’UE la scorsa settimana hanno raggiunto un accordo sulla proposta di una “carbon tax” alle frontiere dell’Unione, per contrastare le delocalizzazioni industriali più energivore, come le centrali termoelettriche, le acciaierie o i cementifici. Questa nuova forma di tassazione, soprannominata Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM, Meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera) dovrebbe entrare in vigore in due fasi: dal 2023 al 2025, l’UE monitorerà le informazioni che le società comunicano sulle loro emissioni; nel 2026, inizierà ad essere applicato un prelievo alla frontiera.
Senza questo dazio sul contenuto di carbonio delle importazioni le industrie dei Paesi con norme ambientali molto permissive potrebbero fare concorrenza sleale alle nostre imprese. In sostanza non sarà più possibile avvalersi di un fornitore extra-Ue più inquinante senza incorrere nel sovrapprezzo; mentre i produttori extra-UE non potranno occupare il mercato con merci meno care, ma prodotte con meno attenzione per l’ambiente. Ad esempio, una acciaieria come l’ex-Ilva di Taranto non dovrebbe preoccuparsi della concorrenza sleale estera.
La tassazione delle importazioni carboniche potrebbe essere accompagnata dalla eliminazione della vecchia norma sulle quote d’emissioni serra gratuite che l’Unione assegna annualmente alle proprie imprese energivore, per compensare la concorrenza extra-comunitaria. Ma ciò è contrastato da alcuni Stati membri dell’Unione, come la Polonia, che hanno ancora molte emissioni serra.
La “carbon tax” alle frontiere dell’UE inoltre è possibile che diventi una fonte di tensione internazionale. Infatti quando entrerà in vigore il CBAM i produttori d’acciaio turchi o cinesi, che inquinano di più di quelli europei, saranno danneggiati. I Paesi colpiti dal CBAM potrebbero contestare la misura come anticoncorrenziale in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio. In ogni caso, come diceva Ernest Hemingway, il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso!