La Pandemia e la crisi in Ucraina stanno confermando, ancora una volta, che siamo schiavi del “consumismo”. Nonostante i moti buoni propositi fatti nel periodo pandemico appena ci è stato concesso abbiamo ripreso a consumare tutto e di più, anche quello che non è sostenibile. Il periodo pandemico non ha determinato alcun cambiamento, alcuna autocritica. Da troppo tempo si produce falsa ricchezza per sfuggire a false povertà. Il mito dei consumi contribuisce a determinare le solite disparità endemiche, le migrazioni e perfino le guerre. Il modello socio-economico ormai radicato nei paesi “più sviluppati” rifiuta qualsiasi limitazione dei consumi, in particolare di quelli energetici, del gas naturale, della benzina, come invece ci stanno indicando gli squilibri climatici e politici. Il determinante alla base delle tensioni è il consumismo a cui ci hanno educato, a cui ci siamo assuefatti. Nonostante i venti di guerra nucleare noi ci preoccupiamo soprattutto del “caro-bolletta” e del rincaro dei beni di consumo. Qualche consumatore compulsivo si è già affrettato nei templi del consumo, i supermercati, per accaparrarsi beni, generi alimentari ed altri oggetti ritenuti fondamentali. La maggior parte delle persone si augura “il ritorno alla normalità” di prima; ogni transizione, modifica dei costumi è rimandata o addirittura rimossa. Il consumatore continua ad essere il destinatario finale di ogni bene ed ogni servizio. Per questo viene considerato bestia da ingrasso e le sue preferenze sono essere pilotate con la persuasione pubblicitaria. La Pandemia e la crisi in Ucraina ci hanno colti impreparati a modificare il modello consumistico per renderlo più sostenibile. Siamo impreparati ad attuare una transizione sicura, a combattere l’inquinamento, a limitare il consumo delle risorse naturali non rinnovabili, a difendere le diversità culturali, a tutelare la dignità delle persone, a combattere la povertà estrema e la divaricazione delle condizioni economiche dei popoli. Le guerre del Covid-19 e dell’Ucraina hanno dimostrato la nostra impreparazione ad evolvere. Fino ad ora non hanno avuto capacità persuasiva sufficiente ad indirizzare i consumi né la paura della malattia o dell’inquinamento, né le leggi od i controlli, né un migliore ministero della transizione ecologica, né le valutazioni di impatto ambientale.
Quella attuale è una di quelle circostanze in cui bisognerebbe riconsiderare i fatti per reindirizzarli. Prima o poi finiranno anche queste battaglie ucraine, come tutte le battaglie fanno. Auguriamoci che i costi per l’Uomo non siano troppo salati. Non possiamo augurarci di moltiplicare per 8-9 miliardi l’impatto ambientale medio dell’uomo industrializzato, se non vogliamo il collasso della biosfera. Non possiamo augurarci di pensare che il 20% dell’umanità attuale possa continuare a vivere a spese di tutti gli altri, compresi i posteri. Auguriamoci non tanto la ricostruzione di quanto c’era prima, non la ricrescita dei consumi indiscriminati, quanto piuttosto una transizione energetica rapida ed indolore. Dovremmo intraprende la via della transizione organizzativa e socio-economica. O transiteremo in modo risoluto oppure il cambiamento sarà molto oneroso per noi umani, esposti all’impatto della mutazione climatica terrestre, alla volatilità del mercato residuo delle fonti energetiche fossili, alla violenza dei rivoltosi e dei nostalgici. Non dovremmo limitarci a sperare di migliorare; dovremmo subito impegnarci per riorganizzare questa speranza. Per farlo, dovremmo investire sull’efficienza, sul risparmio, sulla generazione distribuita di energia da fonti rinnovabili, sulla cooperazione di tutte le regioni terrestri, ma anche e soprattutto sulla cultura.
Dalla politica bisognerebbe pretendere spunti illuminanti, sostegni adeguati e indicazioni chiare di transizione. Ogni discorso sulla necessità della transizione sarà vano finché la crescita economica indifferenziata resterà l’obiettivo politico di fondo. Per alcuni settori economici si dovrà optare per la crescita-zero e per la de-crescita, certo applicando le necessarie cautele per non causare dolorosi crolli socio-economici. Finche la politica avrà priorità misurabili soprattutto in denaro sarà difficile far valere i criteri ecologici, e ci saranno pesanti ingiustizie socio-ecologiche. La questione prioritaria non è tanto cosa consumare o non consumare, ma piuttosto come motivare le persone verso una transizione economica, ecologica ed energetica. Dalle singole persone bisognerebbe pretendere il superamento del circolo vizioso del consumismo cieco. La transizione ecologica, economica, energetica sarà possibile solo con una decisa azione culturale in grado di mettere in discussione ciò è desiderabile o meno. Il consumismo sarà superato solo sulla base di nuove convinzioni socio-culturali fondate su basi, etiche, sociali, estetiche. I singoli esseri umani oggi possono esercitare il loro potere del “consumatore” nel potente universo delle merci e del denaro. Il consumatorie bene informato potrebbe praticare una maggiore autodeterminazione, su fronti quali la scelta della fonte energetica, della tipologia di alimentazione, degli acquisti per la casa, dell’uso dei soldi, ecc. Le scelte personali, soprattutto se spiegate e propagandate adeguatamente possono avere grande peso. L’obiezione di consumo verso prodotti insostenibili è una scelta potente. Dopo decenni di consumismo, in cui la crescita era la quintessenza della civiltà ai più può sembrare bizzarro pensare di invertire o almeno fermare il consumo dei tanti prodotti che determinano condizioni insostenibili quali l’effetto-serra, l’inquinamento, la deforestazione, ecc. La transizione da una civiltà dei consumi indiscriminati verso una civiltà della frugalità sembra tanto semplice quanto immane. Per questo non basteranno la paura della catastrofe pandemica, bellica, ecologica, energetica, climatica, ecc. Servirà una spinta culturale ampia, per creare un’ampia coscienza sociale, consapevole del valore profondo della sufficienza e della sobrietà dei consumi.