Le riforme fiscali sono uno strumento di governo così importante da non lasciare agli economi(ci)sti. In Italia ‘sti geni hanno inventato molti tipi di tasse, ma nessuno adeguato alla bisogna attuale: Irpef, Imu, IVA,Tari, IRAP, Ines, contributi previdenziali, ecc.
L’ultimo governo italiano, quello dei “migliori”, come anche i precedenti, conosce benissimo il problema della nostra inadeguatezza fiscale, anche se lo dichiara in modo criptico, per non allarmare la sensibilità degli elettori. Appena insediati ‘sti migliori hanno cominciato a parlare di “progressività fiscale”, poi hanno usato termini ancora più fumosi: non-è-ora-di-prendere, razionamento, limitazioni, sprechi-da-evitare, bla, bla. Poi con l’economia post-pandemica-di-guerra gli economi(ci)sti sono stati favoriti e si sono concessi eccezioni su eccezioni; la combinazione pandemia-inflazione ha molto peggiorato la situazione economica. Ora il vaso è colmo; bisogna riformare il sistema fiscale italiota. Lo chiede perfino l’Europa.
Gli economi(ci)sti, con lo sguardo rivolto verso il loro ombelico, si sono ri-fossilizzati sul solito dilemma: o scegliere una strategia fiscale redistributiva, penalizzando i redditi medio-alti, oppure tagliare le tasse ai ricconi, in nome della “crescita-a-prescindere”, magari svuotando di contenuti la finta riforma del catasto. La legge delega ora in discussione alla Camera ancora non ha trovato la quadra: i partiti e ‘sto Governo dei “migliori” stanno partorendo un topolino, che perpetua le complicate storture del sistema fiscale italiota A nessuno degli economi(ci)sti coinvolti dal Governo viene in mente di alzare un po’ lo sguardo dall’ombelico, per osservare il contesto, ambientale, sociale, storico in cui tutti ci troviamo. Le battaglie cruciali che stiamo affrontando riguardano la giustizia sociale, la transizione ecologica, oltre che i poveri, i deboli, la cultura, l’identità delle persone, l’energia, le emissioni di carbonio.
Altro che elucubrazioni sulle “aliquote-forfettarie” o sulla “flat-tax”. Meno chiacchiere! La politica fiscale è strumento politico, le imposte devono gravare su ciò che vogliamo limitare, per prelevare risorse e sussidiare ciò che vogliamo realizzare!
Noi ecologisti dobbiamo pretendere eco-imposte. Bisogna tassare quelle produzioni che danneggiano l’ambiente, quei consumi che impattano negativamente sullo sviluppo sociale e culturale, quelle attività che favoriscono le discriminazioni culturali. Cioè con le imposte dobbiamo bastonare l’inciviltà, raccogliere il danaro per le “carote” di civiltà e sussidiare lo sviluppo sostenibile: tassare gli inquinatori e gli spreconi per valorizzare la diversità meravigliosa delle culture dei popoli, per finanziare nuove azioni culturali, le arti, le attività produttive salubri, l’assistenza sanitaria e il sostegno degli ultimi.
La transizione sarà lunga. Basta perdere tempo con le vecchie alchimie economiciste. La direzione è questa, l’abbiamo già trovata.