La filiera dell’auto sull’orlo di una crisi di nervi 

Topolino

Il Parlamento dell’Unione europea ha appena approvato la proposta “Fitfor55” che, seppure annacquata, comporta il bando dei motori endotermici dal 2035. Saranno abbandonati i settori power-train diesel, benzina ed, indirettamente, del metano o del bi-fuel, perché il meccanismo di messa al bando impatterà su tutta la filiera automotive, a partire dalla componentistica. Manca ancora il vaglio del Consiglio europeo, ma comunque il destino dei pistoni sembra essere segnato.

Il Belpaese è famoso per i suoi motori, ormai da oltre un secolo. Attualmente, con i mercati globalizzati, da noi si producono più motori che automobili. Perciò l’effetto delle inevitabili politiche di decarbonizzazione avrà un effetto dirompente per l’Italia, nel bene e nel male. Nel male la caduta della vendita delle vetture endotermiche causerà fallimenti e decine di migliaia di disoccupati, perché si finirà per produrre motori altrove in Cina, Giappone o America; nel caso peggiore la decarbonizzazione repentina, senza un periodo di transizione energetica, per l’Italia sarà un “bagno di sangue”. All’opposto nel bene, se la filiera italiana dell’automotive saprà transitare verso la trazione elettrica, facendo leva sul suo vantaggio tecnologico attuale, ci potrà essere addirittura un rafforzamento della sua leadership attuale. Per fare ciò però bisogna accelerare (subito!) l’eco-innovazione.

I primi segnali politici italioti non sono buoni. Ad esempio i Ministri competenti nel Governo dei Migliori (sviluppo economico, dell’economia-finanze e dell’eco-transizione), invece di mettere mano al portafoglio per sostenere l’eco-innovazione, per ora si sono solo preoccupati di difendere le imprese esistenti, piangendo miseria ed affermando che il blocco europeo sui motori fossili “è una decisione ideologica che favorirà i produttori asiatici”.

Non è più il tempo di frignare e puntare i piedi. L’Italia è tra gli Stati membri che finanziano meno la ricerca e l’innovazione; nella graduatoria mondiale siamo molto dietro. Questi ritardi si riflettono anche sulle richieste internazionali di brevetti italiani. Ogni Paese per prosperare ha bisogno di costante innovazione tecnico-scientifica che, soprattutto nei periodi di transizione, può determinare ricchezza sostenibile e lavori ben retribuiti in industrie a più alta tecnologia. Bisogna far sapere al Governo dei Migliori che l’UE destina a ricerca-innovazione 100 miliardi di euro fino al 2027, attraverso il programma Horizon Europe (li Stati membri smart hanno già attinto a questo tesoro). In Italia vanno aggiunti poi gli oltre 9 miliardi del Piano italiano di Ripresa e Resilienza (Pnrr), stanziate sull’innovazione. L’Italia avrebbe quindi i mezzi per colmare i suoi ritardi storici in R&S, senza indugi, erogando questi finanziamenti in base al merito ed i comportamenti virtuosi per la transizione. Le crisi sconvolgono la vita, ma se le sappiamo gestire possono preludere il cambiamento. “Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare” (Winston Churchill).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *