In Italia è ineludibile lo sviluppo di nuovi impianti per produrre energia dalle fonti rinnovabili, a cominciare dal fotovoltaico, dall’eolico e dall’idrogeno-verde, ma passando anche dalle biomasse e dal mare (perché no, visto che siamo una penisola). Non è neppure più solo una questione ambientalista. Non c’è presidente o ministro o esponente politico che tenga: o svilupperemo velocemente questi nuovi impianti o il nostro sistema socio-economico “andrà a sbattere”.
In Italia abbiamo anche un grande fattore di debolezza, solitamente rimosso e poco considerato, da tutti: siamo pieni di aree industriali in crisi, dismesse e contaminate. È come avere tanti scheletri nascosti in armadi sparsi sul territorio. Le aree industriali, grandi e piccole, hanno spesso inquinato suoli o falde ed ora non ci sono le risorse per risanarle; tanto più se le aree industriali sono in crisi. Un esempio eclatante sono le grandi raffinerie sparse per la Penisola: quelle grosse di valenza nazionale sono tutte molto inquinate ed in crisi, perché il mercato dei prodotti petroliferi non tira più come un tempo, e lo farà sempre meno. Perciò i siti contaminati di importanza nazionale (SIN) presenti attorno a queste grandi raffinerie non vengono bonificati, semplicemente perché mancano le risorse economiche per farlo. Non c’è bisogno di fare nomi; tutte le grandi raffinerie italiane sono in questa situazione e se ne conoscete una allora avete il vostro caso concreto.
In cinese la parola “crisi” è composta di due caratteri, uno significa pericolo e l’altro opportunità. La criticità della transizione energetica e delle zone industriali potrà rappresentare una grande opportunità per il Belpaese se le zone industriali contaminate saranno bonificate per insediarvi nuovi impianti energetici alimentati dalle fonti rinnovabili. In Emilia-Romagna ci hanno già pensato. Nell’ultima seduta di Giunta regionale è stato deciso di sostenere gli impianti che si insedieranno nelle aree industriali dismesse per produrre idrogeno-verde. In particolare tra le aree privilegiate ci sono quelle “collocate in prossimità di poli produttivi importanti e particolarmente energivori, come quelli portuali, della logistica, del chimico-petrolchimico, i distretti ceramici del ceramico, del vetro, del cemento, dell’agro-industria, della meccanica e connesse alla filiera della salute”. In Emilia-Romagna sta crescendo il fermento degli imprenditori e degli amministratori pubblici per cogliere questa opportunità.
Si spera che l’idea della Giunta emiliano-romagnola dilaghi anche nelle altre Regioni e che, magari, arrivi fino al Ministero della Transizione Ecologica. Il Ministro Cingolani deve impegnare velocemente gran parte dei finanziamenti del PNRR, anche questi un’opportunità irripetibile, per cui c’è comunque il rischio di sprechi. Ma ogni esitazione nel sostenere la transizione energetica è ormai insostenibile. Il suo Ministero deve aggiornare subito il vecchio Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), indicando al Belpaese come e dove realizzare i nuovi impianti a fonti energetiche rinnovabili. In questo periodo, con il rincaro-energia e le urgenze di spesa dettate dal PNRR, è preferibile la velocità alla precisione: i rischi di ulteriori ritardi sarebbero di gran lunga superiori a quelli di una strategia energetica imperfetta.